lunedì 30 aprile 2012

Sfumature

© Barbara Z.
«Non c'è bisogno della letteratura per imparare a leggere. C'è bisogno della letteratura per sottrarre il mondo reale alle letture sommarie, siano esse quelle del facile sentimentalismo o dell'intelligenza implacabile. 
La letteratura ci insegna a diffidare dei teoremi dell'intelletto e a sostituire al regno delle antinomie  quello della sfumatura. 
La letteratura rifugge dal melodramma e ricorda "che nessun successo dell'esprit de geometrie potrebbe sollevare l'uomo dalle proprie responsabilità nei confronti dell'esprit de finesse

(A. Finkielkraut, Un cuore intelligente, Adelphi 2011)

mercoledì 18 aprile 2012

Anche grammatica è poesia

(per la foto: grazie Barbara Z!)
Io insisto tanto sulla grammatica italiana. Mi piace epica, adoro poesia, leggo volentieri Manzoni... Ma è proprio da lei che non ti aspetteresti scintille. E invece. 
Oggi, per esempio, correzioni insieme delle analisi del testo su Montale: Meriggiare pallido e assorto, Maestrale, Prima del viaggio

Bello scoprire che Montale ha strutture così simili a Leopardi: prima la descrizione, poi la sintesi esistenziale (le due strofe di Prima del viaggio lo sanciscono a pieno). 
E ancora la denotazione e la connotazione: il  Maestrale accarezza il cuore vasto del mare, i rami additano l'orizzonte... Gesti affettuosi, perché solo gli amici sanno come raggiungerci, e vogliono indicarci il meglio  (è la stessa natura amica dei Limoni). 
I gabbiani non sostano mai, "perché ogni cosa porta scritto:/ Più in là" (nessun cartello, nessun indice a fondo pagina, nella giornata: ma ogni persona incontrata schiude orizzonti; ogni aspetto in cui ci si inoltra suggerisce, invita. E' la vita ad invitarci - che la figura etimologica non sia casuale...?
Sentiamo la "maretta che parlotta" tra gli scogli, la "vasta distesa che si spiana beata"... (è l'orecchio fine di Montale. Che ci infastidisce apposta, altrove; per esempio con quei tremuli scricchi/ di cicale dai calvi picchi).
  
Ma è come se Montale non volesse abbandonarsi mai del tutto: ai suoi amici - vento, rami e mare; alle sue speranze ("Mi dicono ch'è una stoltezza dirselo"). Quasi non vorrebbe porre sé in questo paesaggio amico. 
Ragazzi, vi siete accorti che forme verbali ci sono in Prima del viaggio? "Quasi tutti si passivanti!" Quindi? "Forme impersonali, senza soggetto". E in Meriggiare? "Solo verbi all'infinito!" Perché? "Perché è un modo indefinito. Impersonale!" (allora visto, che studiare grammatica serve? :-)    
      

sabato 14 aprile 2012

don Lisander

E' notte, per Lucia, al castello dell'Innominato. Ma poi arriva l'alba, e Federigo.
Con gli studenti cerchiamo di indagare ancora, di capire meglio (i capitoli più noti dei Promessi potrebbero prestarsi a una buona dose di retorica).
Ho assegnato a casa per le vacanze, fra gli altri, un compito  nuovo: scrivere la domanda che più rimane dopo la lettura di questi capitoli (la consegna esatta è: la domanda a cui il proprio libro di testo non offre risposta). 

Qualcuno cerca di cavarsela a buon mercato (fin troppo!): quanti anni ha Federigo, come si chiama la vecchia che deve accudire Lucia... Facile ironia per chiunque: "Beh, in effetti il libro non dice neppure quanti capelli aveva ancora sulla testa l'Innominato (!), oppure di che colore fosse il grembiule di quella vecchia...".

Qualcuno, però, si è messo: perché l'Innominato continua a pensare a Lucia ed entra in crisi?  Forse è innamorato di lei? E Lucia, nei confronti di lui, si muove con furbizia, o pensa davvero che quest'uomo abbia buon cuore? (Ormai dovrei quasi essermi abituata: chiaro che, per i miei quindicenni, l'unico sentimento che possa spiegare una crisi è l'innamoramento che conoscono loro, senza troppe sfumature, senza altre possibilità).

Certo però- osserva un'alunna - Lucia è l'unica che tratta l'Innominato da essere umano: non da padrone (la vecchia e i bravi) né da spadroneggiatore (come in paese); è lei a riconoscere che qualcosa in lui sta già cambiando mentre le parla. 

martedì 3 aprile 2012

Dove vivono i giapponesi

Da qualche giorno sono sbarcata in Giappone (qui vive mio fratello, a Tokio per un master di due anni).

Uno dei primi posti dove si passa quasi per forza venendo qui è Shinjuku (il quartiere,  tanto per intenderci, qui a fianco: grattacieli, neon, e poi gente e gente e gente molto di corsa... la larghezza delle striscie pedonali non li raccoglie mai tutti!). 
La prima volta mi son sentita davvero spersa. Non per le scritte indecifrabili (o forse sì, anche per quello); ma per il senso di piccolezza che assale chi si trova lì senza lo stesso scopo di chi corre (come loro). Come se non correre, o non acquistare in quei negozi, o non essere un manager come loro, volesse dire non essere niente. 

Poi sono stata a casa di mio fratello; è uno studente ed ha un piccolo (ma dignitoso) appartamento in affitto. 
Però mi ha detto che tutti a Tokio vivono in case non più grandi della sua. Che in parecchie famiglie (lui ne conosce alcune, qui) si fa fatica a stare, a parlarsi. La condizione lavorativa delle donne è assolutamente impari a quella degli uomini (basta guardarsi attorno in metropolitana, nelle ore di punta, e calcolare le proporzioni). Diversi padri di famiglia, ma anche tanti giovani, prima di rientrare a casa si stordiscono nei "pachinko": come dei casinò in piccolo, con miliardi di slot machine e musica altissima. I locali dei bar sono spesso banconi con sgabelli, non tavoli dove pranzare coi colleghi. Allora mi sono chiesta dove vivono davvero questi giapponesi; come fanno a vivere così. Che forse non è troppo distante da quello che rischia di avvenire anche qui in Italia, a Milano per esempio. Ma poi ripenso ai nostri bar e ristoranti, agli aperitivi, agli amici. L'abnormità di quel che vedo qui mi sembra che mi obblighi a chiedermi per cosa valga la pena vivere, in Italia, come in qualsiasi angolo del mondo. Cosa vorrei per me e per mio fratello, e per questi giapponesi che corrono e poi si addormentano di default in ogni angolo della metropolitana. 
E io lo so che sono almeno 100 volte fortunata a non essere nata a Shinjuku. Ma non riesco a non chiedermi dove vivano veramente i giapponesi...