domenica 10 giugno 2012

Di sguardi e di silenzi

Tra le classi di quest'anno, ne ho avuta una tutta al femminile. Forse anche per questo, i Promessi Sposi negli ultimi mesi hanno assunto una sfumatura sempre più rosa (simpatia per Renzo a mille; perplessità su Lucia a tremila...). 
E Don Lisander accontenta, ma non troppo. Dice, e poi ritratta. Meglio: dichiara di non aver nulla in più da dire. E così riesce a esprimere anche l'ineffabile. 
Non c'è mai un dialogo d'amore tra i due; ma in realtà no, ce ne sono, con tutti i loro cliché: i batticuore, le parole più trite e quelle da intendersi al contrario; e sguardi più fuggitivi di quelli di Silvia...

Perciò voglio dedicare quest'ultimo post scolastico a Manzoni e alla sua storia d'amore.

Tutti ricordano le prime scene del romanzo: i pudori di Lucia; le minacce di Renzo perché lei acconsenta al matrimonio segreto. Poi la separazione, il voto, e il gran tormento causato a Lucia da Donna Prassede ("Allora? Non ci pensiam più, a colui?!?").  

Ma è al Lazzeretto che la questione si fa seria.
Con buona pace degli Oblivion (che pur amo tanto), padre Cristoforo non fa mistero del potere che ha nello sciogliere il voto di Lucia per una giusta causa: che è proprio la felicità di ciascuno dei due (e così di tutti). 
Renzo aveva provato a forzare l'annullamento del voto in separata sede, prima con lei, più timidamente con il frate. Nulla da fare: la faccenda deve risolversi tra Lucia e un altro (non lui). 
- Lucia! - disse Renzo, senza moversi: - ditemi almeno, ditemi: se non fosse questa ragione... sareste la stessa per me?
- Uomo senza cuore! - rispose Lucia, voltandosi, e rattenendo a stento le lacrime: - quando m'aveste fatte dir delle parole inutili, delle parole che mi farebbero male, delle parole che sarebbero forse peccati, sareste contento? ... Andate, per amor del cielo, e non pensate a me... se non quando pregherete il Signore.
E, come chi non ha più altro da dire, né vuol sentir altro, come chi vuol sottrarsi a un pericolo, si ritirò ancor più vicino al lettuccio, dov'era la donna di cui aveva parlato.
- Sentite, Lucia, sentite! - disse Renzo, senza però accostarsele di più.
[...] 
- Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal mantener la promessa che avete fatta a Renzo?
- In quanto a questo... per me... che motivo...? Non potrei proprio dire... - rispose Lucia, con un'esitazione che indicava tutt'altro che un'incertezza del pensiero; e il suo viso ancora scolorito dalla malattia, fiorì tutt'a un tratto del più vivo rossore.
- Credete voi, - riprese il vecchio, abbassando gli occhi, - che Dio ha data alla sua Chiesa l'autorità di rimettere e di ritenere, secondo che torni in maggior bene, i debiti e gli obblighi che gli uomini possono aver contratti con Lui? ... E se voi mi chiedete ch'io vi dichiari sciolta da codesto voto, io non esiterò a farlo; e desidero anzi che me lo chiediate.
- Allora...! allora...! lo chiedo; - disse Lucia, con un volto non turbato più che di pudore.
Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne stava nel cantuccio il più lontano, guardando (giacché non poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; e, quando quello fu lì, disse, a voce più alta, a Lucia: - con l'autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto di verginità ...
Pensi il lettore che suono facessero all'orecchio di Renzo tali parole. Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le aveva proferite; e cercò subito, ma invano, quelli di Lucia.

Renzo poi corre da Agnese. La contentezza per quel che è successo non gli fa sentire né pioggia, né fatica ("L'ho trovata; è guarita; è mia!"). Finché, passata la quarantena, anche Lucia li raggiunge al paese. E Renzo se la trova davanti all'improvviso:


Gli atti che fece, e le cose che disse, al trovarsela davanti, si rimettono anche quelli all'immaginazion del lettore. Le dimostrazioni di Lucia in vece furon tali, che non ci vuol molto a descriverle. - Vi saluto: come state? - disse, a occhi bassi, e senza scomporsi. E non crediate che Renzo trovasse quel fare troppo asciutto, e se l'avesse per male. Prese benissimo la cosa per il suo verso; e, come, tra gente educata, si sa far la tara ai complimenti, così lui intendeva bene che quelle parole non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Lucia. Del resto, era facile accorgersi che aveva due maniere di pronunziarle: una per Renzo, e un'altra per tutta la gente che potesse conoscere.
- Sto bene quando vi vedo, - rispose il giovine, con una frase vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel momento.
- Il nostro povero padre Cristoforo...! - disse Lucia: - pregate per l'anima sua: benché si può esser quasi sicuri che a quest'ora prega lui per noi lassù.
- Me l'aspettavo, pur troppo, - disse Renzo. E non fu questa la sola trista corda che si toccasse in quel colloquio. Ma che? di qualunque cosa si parlasse, il colloquio gli riusciva sempre delizioso. Come que' cavalli bisbetici che s'impuntano, e si piantan lì, e alzano una zampa e poi un'altra, e le ripiantano al medesimo posto, e fanno mille cerimonie prima di fare un passo, e poi tutto a un tratto prendon l'andare, e via, come se il vento li portasse, così era divenuto il tempo per lui: prima i minuti gli parevan ore; poi l'ore gli parevan minuti...
Le mie alunne hanno applaudito, all'ultima pagina del romanzo. Ma in realtà, timidamente; Manzoni è un lombardo asciutto almeno quanto Lucia, se non di più: 
la loro fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l'avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte.

Niente idillio. Per chi dice che un bel tacer non fu mai scritto...



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