venerdì 24 giugno 2011

Letture estive

Come ogni estate senza esami di maturità - da quando insegno, pochissime! -, a programma ho finalmente bastimenti su bastimenti di letture estive.
In questo momento sto leggendo un libro suggeritomi da una collega. E appena iniziato vi ho scoperto dentro, come un regalo, una bellissima citazione di Natalie Ginzburg.
Sto pensando a cosa tagliare, ma è piena di spunti davvero belli.
Tanto più che si riallaccia a un episodio di settimana scorsa: stavo cercando di dare a una mia alunna indicazioni sui debiti di settembre, ma lei era preoccupata oltre il giusto; e infatti a un certo punto ha ammesso che c'era anche altro, che però non voleva dire neppure ai suoi.
Così le ho detto (all'incirca): "Se capirai di aver bisogno di parlare con qualcuno, io ci sono. Ma l'importante non è questo:
crescere è soprattutto capire di chi ci si può fidare, e questo credo sia lo spazio più scoperto della nostra libertà. Se dire qualcosa a un amico, o ai genitori, o a un professore...: l'aspetto più interessante del diventare grandi è capire a chi val la pena dare questa fiducia".
E la citazione, che dicevo, così completa e intensifica:
" Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore alla vita. Esso può prendere diverse forme, e a volte un ragazzo svogliato, solitario e schivo non è senza amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato di attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos’è la vocazione di un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita? Noi dobbiamo allora aspettare, accanto a lui, che la sua vocazione si svegli, e prenda corpo. Il suo atteggiamento può assomigliare a quello della talpa o della lucertola, che se ne sta immobile, fingendosi morta: ma in realtà fiuta e spia la traccia dell’insetto, sul quale si getterà con un balzo. Accanto a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettare lo scatto del suo spirito. Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto; la nostra attesa e la nostra pazienza deve contenere la possibilità del più alto e del più modesto destino. […]

Quali possibilità abbiamo noi di svegliare e stimolare, nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d’una vocazione? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d’una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio, un giusto equilibrio fra silenzio e parole. Noi dobbiamo essere importanti, per i nostri figli, e tuttavia non troppo importanti: dobbiamo piacergli un poco, e tuttavia non piacergli troppo: perché non gli salti in testa di diventare identici a noi, di copiarci nel mestiere che facciamo, di cercare, nei compagni che si scelgono per la vita, la nostra immagine. Noi dobbiamo essere, con loro, in un rapporto d’amicizia: eppure non dobbiamo essere troppo i loro amici, perché non gli diventi difficile avere dei veri amici, a cui possano dire cose che tacciono con noi. La loro ricerca d’amici, la loro vita amorosa, la loro vita religiosa, la loro ricerca d’una vocazione, è necessario che siano cinte di silenzio e d’ombra, che si svolgano in disparte da noi. Mi si dirà che allora la nostra intimità coi nostri figli si riduce a ben poca cosa. Ma nei nostri rapporti con loro, dev’essere contenuto tutto questo per sommi capi, e la vita religiosa, e la vita dell’intelligenza, e la vita affettiva, e il giudizio sugli esseri umani; noi dobbiamo essere, per loro, un semplice punto di partenza, offrirgli il trampolino da cui spiccheranno il salto. E dobbiamo essere là per soccorso, se un soccorso sia necessario; essi debbono sapere che non ci appartengono, ma noi sì apparteniamo a loro, sempre disponibili, presenti nella stanza vicina, pronti a rispondere come sappiamo ad ogni interrogazione possibile, ad ogni richiesta.
 
E se abbiamo una vocazione noi stessi, se non l’abbiamo tradita, se abbiamo continuato attraverso gli anni ad amarla, a servirla con passione, possiamo tener lontano dal nostro cuore, nell’amore che portiamo ai nostri figli, il senso della proprietà. Se invece una vocazione non l’abbiamo, o se l’abbiamo abbandonata e tradita, per cinismo o per paura di vivere, o per un malinteso amor paterno, o per qualche piccola virtù che si è installata in noi, allora ci aggrappiamo ai nostri figli come un naufrago al tronco dell’albero [...] Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l’abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell’ombra e dello spazio che richiede il germoglio d’una vocazione, il germoglio d’un essere. Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita." (N.Ginzburg, Le piccole virtù, 1962).


Una nettezza così non è facile trovarla oggi. Eppure a me sembra che stare davanti a dei ragazzi che crescono non possa avere prospettive lontane da queste...


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