Appena diventata insegnante, la propaganda ministeriale martellava non poco sul mito delle 3 "I" a scuola. Ora a quanto mi risulta è certo più invadente, almeno su carta, quello delle 3 C (Competenze, Conoscenze, Capacità; la prima C, soprattutto!).
Eppure, nella vita pratica di studenti e insegnanti credo sia necessario soprattutto quel fattore, che non potrà mai essere regolamentato; perché dipende così tanto dalla personale, delicatissima disposizione d'animo di chi insegna e di chi apprende, che mai potrà essere imposto, o fissato una volta per tutte; mentre è l'unico che renda davvero possibili trasmissione di conoscenze, promozione di competenze e capacità.
Mi è stato chiaro settimana scorsa, per una libera iniziativa proposta a scuola.
Avrei desiderato che alcuni miei studenti ci fossero; e invece, mentre alcuni di loro non hanno aderito, se ne sono presentati altri; ed alcuni proprio fuori dagli schemi previsti. E chissà, mi chiedevo: forse anche non adatti per quel che avevo proposto?
Avrei desiderato che alcuni miei studenti ci fossero; e invece, mentre alcuni di loro non hanno aderito, se ne sono presentati altri; ed alcuni proprio fuori dagli schemi previsti. E chissà, mi chiedevo: forse anche non adatti per quel che avevo proposto?
A parte lo sconcerto iniziale, alla fine della giornata ho capito che le soluzioni possibili erano solo due, in fin dei conti: accogliere chi c'era, anche se non previsto; oppure fare altro. Se l'ipotesi di partenza è un "vediamo se si può fare così, anche a queste condizioni", si cerca e si briga per capire, per mettere a fuoco conoscenze, per fare il conto delle risorse e delle competenze a disposizione. Per arrivare... dove? Ed è qui il bello: a partire dai particolari, quel che si rimette in discussione è tutto il senso del progetto proposto, e del proprio fare. Altrimenti conoscenze, competenze (e capacità) potranno anche essere citate per confermarsi negli schemi soliti, per non voler rischiare.
E ho capito che è sempre così. Uno parte con una classe che non si aspettava, a fianco di colleghi che non si immaginava prima; laddove poi la vita è così invadente e urgente (e mai come di fronte all'adolescenza!) che a pensarci...
Ma tutto dipende se quella possibilità di accoglienza uno l'ha messa anche solo un po' in preventivo, oppure no.
Diceva Etsuro Sotoo, in un incontro a cui ho partecipato qualche sera fa: "Gaudì è chi può aiutarci a guardare il XXI secolo. Oggi noi non pensiamo neppure di essere nel XXI secolo; pensiamo ai problemi che abbiamo oggi, e il domani per noi porterà solo un nuovo problema, e il giorno dopo un altro problema... Ma per Gaudì non era così: se aveva bisogno di finestre, e di muri portanti, osservava la luce e la struttura della materia, finché il sole e la materia non gli rivelavano come costruire le sue finestre nei suoi muri portanti... Risolvendo magari tre, quattro o cinque "problemi" insieme. Questo è un pensiero da XXI secolo".
Nessun commento:
Posta un commento