giovedì 1 marzo 2012

elogio del domandare

Rispondendo all'invito della mia amica blogger Palmy, provo anche io a fissare alcune riflessioni di buone pratiche didattiche; in particolare sulla cruciale domanda riproposta da lei questo lunedì: in un mondo sempre più caotico e imprevedibile, quale ruolo può assumere una scuola che non rinunci a se stessa? Quali competenze sviluppare? 

La prima abilità propugnata da Palmy è saper porre domande.
E' un tema, questo, che mi trova in assoluta consonanza con lei: come a suo tempo è stato insegnato anche a me, l'alunno veramente intelligente è chi sa porre domande.
Per questo cerco sempre di porne molte a mia volta; sperando, naturalmente, che non siano fuori luogo...
(Ma, tra parentesi: non credo che esistano davvero domande inutili: ne possono esistere di indiscrete, intempestive, ironiche, generiche... Eppure tutte dicono di un'attitudine preziosa, perché dimostrano che chi le pone "accetta" di entrare in relazione con altri; cioè accetta di lasciarsi arricchire, correggere, o indirizzare verso altri lidi. O - comunque - si espone ad esserlo...).

Palmy si è addentrata nelle "tecniche" per affinare la nostra attitudine alla domanda. Per affiancare le sue considerazioni, ho pensato di provare a esplicitare anche quale ne siano i presupposti, e alcuni interessanti risvolti. 


- Prima condizione di chi pone una domanda penso sia la stima della persona a cui la si pone (il giudizio che noi abbiamo già formulato sulla competenza specifica di chi dovrà risponderci). Per questo, il semplice formularla indica che chi la pone abbia minimamente già prestato attenzione (almeno, un'attenzione sufficiente a porre domande).

- Secondo - altrettanto importante, se non di più - è  il "sentirsi accolto" come soggetto pensante: che ci accolga la persona che raccoglierà la nostra domanda, o almeno che lo sia il contesto in cui essa viene posta (banalmente, che siano accoglienti i compagni di quella classe).

In questo senso, una domanda formulata può in realtà nasconderne molte altre, ben più profonde di quell'unica che si esplicita. Compito di un bravo insegnante è allora riconoscere quelle esigenze più profonde, e provare a dare risposta implicita anche a quelle (indimenticabile l'esempio formulato a tal proposito dal mio professore di Linguistica all'Università: "Nonna, quando arriva Natale?" - chiede il nipotino; e allora una risposta (tutt'altro che astratta) potrebbe ben essere questa: "Bisogna aspettare un po'... Ma nel frattempo, comincerai anche ad andare a scuola! Imparerai molto e conoscerai bambini nuovi; e se farai il bravo, allora Babbo Natale... ecc.).

Questo secondo aspetto del domandare è quello che a me più interessa mettere a tema lavorando con i miei studenti. Per esempio, nel mio post precedente, ho riportato brani di una tesina (elaborata da alcune mie studentesse) in cui si esaltava l'amore fulminante, "senza tempo", di Jacopo Ortis per Teresa. Ma, avendo presenti i drammi delle mie alunne quindicenni per storie d'amore che non riescono a durare per più di un mese, ho chiesto loro: "Quindi significa che il tempo non è un fattore per conoscere di più una persona? Non è un valore che si decida di investire il proprio tempo per qualcuno?".

E così sono nati alcuni dei passaggi a mio parere più mirabili del loro lavoro di gruppo...


2 commenti:

  1. Mentre leggevo questo interessantissimo post pensavo che le attitudini che hai indicato: stimare l'altro e sentirsi accolto come soggetto pensante hanno un contraltare in negativo che fa apparire più chiaro l'aspetto positivo. Il primo in negativo è fare domande per mettere in difficoltà l'altro, il secondo è in negativo essere percepiti come un nemico da cui difendersi nella discussione...
    Molto bello quello che diceva il prof di Linguistica (Rigotti?)...

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  2. E' vero come dici tu: chiaramente, si può chidere per mettere in difficoltà, per perdere tempo... E così si possono anche percepire le domande che ci vengono poste. Tutto dipende dalla disponibilità a lasciarsi mettere in discussione e dalla verità personale....
    Essendo la domanda un "ponte" lanciato, come qualsiasi atto relazionale, non prescinde dalla moralità di ciascuno :-)
    (PS: Sì,il prof era Rigotti!)

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