domenica 10 marzo 2013

Di nuovo

Settimana scorsa son tornata, per la terza volta, ai Colloqui Fiorentini. Con una formula nuova: ho portato questa volta non miei studenti, ma quelli di altre classi. I miei dell'anno scorso, avendo già progettato un viaggio a Londra, non avrebbero potuto permettersene un altro, però hanno insistito per dirlo ad altri nella scuola; e si è costituito un gruppo che, tra mille traversie burocratiche (e comprensibili dubbi dei loro prof...) alla fine ha resistito, e si è iscritto. 

La prima a non credere molto in questa formula, d'altra parte, ero proprio io:
come avrebbero fatto dei ragazzi a proporre qualcosa ad altri, se loro stessi non vi avrebbero partecipato? E come lavorare con studenti non miei? I dubbi che si aderisse solo per saltare qualche giorno di scuola (nella bellissima location di Firenze...) sono stati innanzitutto miei.

Ora: io non so come poi tutti gli anni vada a finire che, dai Colloqui, io e gli studenti torniamo sempre entusiasti. Il primo anno perché era la prima volta (e i miei si sono lanciati a parlare davanti a tutti - 1800 partecipanti!). L'anno scorso perché abbiamo vinto. E quest'anno per il semplice fatto di esserci venuti. 
I ragazzi hanno lavorato per due mesi fermandosi ogni settimana due ore in più a scuola. A Firenze hanno ascoltato tutto, prendendo appunti (per 6-8 ore al giorno, per tre giorni  - senza che nessuno glielo avesse chiesto!). Quando hanno ascoltato gli altri ragazzi intervenire, lucidamente hanno indicato i punti di debolezza della tesina preparata per il convegno, e di come vorrebbero invece lavorarci sopra l'anno prossimo... Sì, perché anche loro vorrebbero tornarci, e dirlo a tutti i loro compagni e ai loro prof. Lavorare fin da subito sul tema dell'anno prossimo. Dire al Preside che i Colloqui sono molto meglio delle occupazioni/autogestioni improvvisate all'ultimo. Scrivere alla Direzione dei Colloqui Fiorentini per dire che vogliono una cosa così anche a Milano...

Ripeto: non so cosa li convinca tutti gli anni. Ho certamente degli indizi: le lezioni dei prof che intervengono non sono mai banali (a volte più impegnative, a volte più accattivanti...). E poi sentire ragazzi, da ogni regione d'Italia, discutere su ciò per cui pensavano di aver "penato" solo loro; capire che quel che si studia nel chiuso delle proprie aule può mettere in relazione con tutto un mondo che c'è fuori... Insomma: che ciò che sembra solo fatica ottusa, finalizzata a un voto, può diventare  spiraglio su un altro mondo, in cui loro hanno già voce in capitolo. Tutto questo, e altro che credo capirò nel tempo.

Sono tornata a scuola e ho incrociato colleghi che mi hanno chiesto e mi hanno ascoltata, stupiti. La coordinatrice di alcuni di questi ragazzi, in compenso, mi ha chiesto solo un giustificativo scritto che fossero venuti davvero a Firenze con me. Ho sentito rinascere forte lo sconcerto sulla deriva burocratica della scuola italiana... Però i ragazzi che ho portato con me esistono, e non sono solo mostri di studio: seri, sì, ma non senza debiti a scuola. E allora, forse, qualche "credito" in più alla voglia di imparare di questi ragazzi, la si potrà ben dare...

2 commenti:

  1. Il desiderio di cultura e di confronto su temi non banali e supericiali non è sopito nei giovani, forse siamo noi adulti che preferiamo addurre scuse per non metterci di nuovo in gioco e tornare ad imparare con loro. Più facile una lezione cattedratica dove tutto è già stato collaudato e dove non corriamo il pericolo di dimostrarci inadeguati

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  2. E' proprio così, Paola... Penso un po' in tutti gli ambiti della vita!
    A me insegnare piace proprio perché (se anche a me tornerebbe comodo "riciclare quanto già fatto"), davanti ai ragazzi non si può barare troppo a lungo. Almeno, io sento che mi chiamano a dare di più, o a trovare strade più lunghe magari, ma più efficaci.
    E per fortuna, tra le sollecitazioni a far meglio, ho trovato sempre anche tanti colleghi!
    Grazie della visita!

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