Quest'anno scolastico mi ha dato in sorte tre classi prime: 80 ragazzi da accompagnare, nello studio e nella vita; da guardare sempre, perché in classe tutto funziona solo se li guardo uno per uno, se di ognuno ricerco lo sguardo ogni volta che mi introduco in classe (e così finalmente l'appello può perdere l'aspetto militaresco - o collegiale - che spesso investe l'usanza...).
Ed ora è la fine dell'anno, e fra le verifiche (e i recuperi) che si inseguono, in realtà emerge ancora più prepotente il grido di ciascuno di loro; e - chiaro - specie di chi ha più ferite scoperte.
Forse perché quest'anno ho solo studenti così giovani, mi ritrovo con insistenza a pensare alle loro famiglie: perché a 14 anni, davanti al rush finale, non si riesce neppure lontanamente a nascondere le proprie reazioni; oppure, viceversa, perché la percentuale di chi bigia aumenta vorticosamente, e i miei studenti non hanno nemmeno la furbizia, o il desiderio di nasconderlo (spesso fra l'altro perché le stesse mamme, quando chiedo chiarimenti, rispondono gentilmente "Sì sì, sapevamo, eravamo d'accordo...").
Alcuni studenti sono costernati perché hanno giocato a tira-e-molla tutto l'anno, e ora è davvero troppo tardi per avere la sufficienza in tutte le materie; altri poi hanno gettato la spugna perché sanno che ormai l'anno è perso. E alcuni si disperano perché pensano di essere già spacciati, mentre per i loro insegnanti non è così evidente (ma quegli studenti non possono mollare ora, altrimenti sì che si giocheranno da sé l'anno!).
Gli altri - per fortuna, ancora la maggior parte - raccolgono le forze e presenziano ad ogni verifica, prendono appunti imperterriti, arrischiano domande e battute.
Ed io penso ai loro genitori. A quanto sia importante che la famiglia possa sostenerli, e non sostituirsi a loro ("Ma professoressa, perché mio figlio non riesce a ottenere la sufficienza? E' tutto l'anno che schematizzo per lui il suo libro di testo [!!!], dovrebbe funzionare..."). Penso a quanti si stanno accorgendo solo ora che il figlio ha bigiato ininterrottamente negli ultimi due mesi, e vengono a scoprirlo per sbaglio; a chi ha davanti un figlio sollecitato a frequentare una scuola che ormai è palesemente inadatta; a chi è di fronte ai piccoli - o grandi - drammi della scuola, che si assommano sempre più spesso a quello del marito che è scappato di casa, alla malattia da fronteggiare, al lavoro che non c'è... Perché i miei alunni, soprattutto ora che mi sembra di dover solo correggere verifiche, gridano ancora di più che la vita non può essere solo voti. E io, che i voti comunque li do, e so che è inutile barare su questi, vorrei anche contestualizzarli e ricondurli a quello che sono realmente: un aspetto, serio, del reale; ma uno solo.
Penso a tutte queste famiglie, e sono grata a quella mamma che stamattina mi ha chiamato per dirmi: "Mia figlia vorrebbe mollare, ma io mi rifiuto di ascoltare solo lei: perché a scuola c'é lei, ma come io sono sua madre, voi siete i suoi professori. Devo ascoltare anche voi".
Ecco la famiglia che spero sempre di trovare in questo scorcio dell'anno: perché in aula i protagonisti sono tre (scuola, alunni, famiglia). E una famiglia che semplicemente c'è, nonostante tutto, fa esattamente tutto quanto è necessario a me e ai miei studenti.
Sto vivendo la stessa situazione, nella mia unica prima. Maggio è il mese di queste cose, di queste fatiche. L'estate serve a riprendersi, dalla fatica emotiva. Ma, ogni che passa, l'estate basta sempre un po' meno.
RispondiEliminaE' vero che la fatica in questi giorni è soprattutto emotiva. E ti ringrazio per avermi ricordato l'estate, la mia stagione! Estate è mare e riflessi sull'acqua, immergersi e riemergere (come direbbero Ungaretti e Montale... Ma anche lo Scorfano, scommetto, lo sa bene...!
RispondiEliminaAltrettanto vero è che l'estate, di per sé, da sola non basta. E' per questo che sono stata contenta di quella mamma, come ho scritto: è lungo il cammino (non dopo) che abbiamo bisogno di segni che la strada sia quella buona. Come quel ragazzo di cui parlavi nel tuo blog, il fratello di un tuo alunno che ti aspetta per porgerti sempre la stessa domanda: tu ne hai parlato come un segno buono, e così voglio imparare a scorgere anche quelli sulla mia. Ciao e grazie!