Appena ho iniziato la mia carriera lavorativa, ho sperimentato una situazione stranissima: nella mia testa i passi dei miei progetti erano tutti chiari, ben delineati; insomma, perfetti. E poi, nel realizzarli, ecco il "prodigio": quel che doveva esaurirsi in due ore, ne impiegava dieci. Oppure, sulla soglia del traguardo, ecco spuntare l'imprevisto: il dato non calcolato, la reazione inaspettata e contraria di qualcuno...
Cerco sempre di guardare con attenzione nelle tasche dei miei abiti, prima di metterli in lavatrice: è risaputo che banconote e carte di identità vi finiscono volentieri. Fra gli oggetti più dannosi ho scoperto
monete da pochi centesimi e forcine: si infilano nel tubo di scarico e, oltre un certo numero, niente da fare: occorre chiamare il tccnico.Questa estate ho visto acquattata con stupore, dietro l'oblò della lavatrice, anche la mia memoria USB da 4 GB. Infine, tra l'acqua saponata, anche il mio Skin Swatch.
Inutile fermare il programma di lavaggio (queste nuove lavatrici sono così automatizzate, che non oso interromperle...). Beh: ho riso di gran gusto entrambe le volte! Non era così qualche anno fa; non era così per la lavatrice, e sul lavoro.
Uno comincia a lavorare pensando di essere perfetto, e che gli imprevisti siano tutti da attribuire a responsabilità esterne, all'incomprensione altrui o a chissà che. La rabbia spesso è tanta. Ma poi a poco a poco si insinua il dubbio: non c'è prima l'idea perfetta, e poi la sua realizzazione; ma c'é il proprio desiderio di far bene, che spinge a entrar dentro le pieghe della realtà; attraversando i limiti propri e altrui. E quante più cose si scoprono allora!
Il programma di lavaggio spesso non si può interrompere. Però la realtà è più buona di noi: la mia USB e lo Swatch funzionano benone. Anzi, l'orologio adesso profuma anche un po' di Vernel...
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